Gl’inganni felici, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Anfiteatro per gli spettacoli olimpici, ingombrato da folta turba di popolo. Seggio nel mezzo regiamente addobbato.
 
 CLISTENE coronato di alloro, preceduto da lungo seguito
 
 CLISTENE
 Or che al nume tonante
 sfumar d’aure sabee nembi odorosi
 e che tronco rimase al grasso armento
 dalla sacra bipenne il bianco collo,
5nell’olimpiche arene
 scendan l’anime forti al gran cimento;
 e il regio banditor pubblichi intanto
 del sudato trionfo il premio e il vanto. (Ascende sul trono)
 BANDITOR REGIO
 Chi nella dubbia lotta
10avrà braccio più forte,
 vinti gli altri in possanza emoli atleti,
 quand’ei non sia d’ignobil sangue e vile,
 oltre il pregio e l’alloro,
 con la regia Agarista
15tutto d’Elide il regno in premio acquista.
 
 SCENA II
 
 CLISTENE in trono, ARMIDORO e poi SIFALCE
 
 ARMIDORO
 Bella madre d’amor, tu che l’interno
 penetri de’ miei sensi e il cor mi vedi,
 se mai le sacre soglie
 di fior ti coronai, s’arabi incensi
20fra vittime innocenti unqua ti ardei,
 favorevole arridi a’ voti miei.
 Sono i primi caduti. Al braccio mio (Lotta con due o tre atleti e gli atterra)
 chi più opporsi oserà?
 SIFALCE
                                           Quello son io.
 ARMIDORO
 Un fier odio, che ancor non ben intendo,
25mi rinforza e m’irrita.
 SIFALCE
                                           Ad una scossa
 l’arene imprimerai con la percossa.
 ARMIDORO
 Non pavento minacce.
 SIFALCE
                                           Il fiero incontro
 forse ti fia letal.
 ARMIDORO
                                Forse funesto.
 SIFALCE
 (Armidoro è costui).
 ARMIDORO
                                        (Sifalce è questo). (Lottano)
 CLISTENE
30Quanto han costor di lena! Eguale ad essi
 sol già tempo si vide
 col feroce Acheloo lottare Alcide.
 ARMIDORO
 Dura un contrasto ancor?
 SIFALCE
                                                 Sento mancarmi
 l’affaticato piè. (Cade a terra)
 ARMIDORO
                               Cedimi, uom forte.
 SIFALCE
35Non cedo al tuo valor, cedo alla sorte. (Si parte)
 ARMIDORO
 Mancan altre vittorie? (In positura di lottare)
 CLISTENE
                                            Assai facesti.
 Vieni a goder del premio, eroe sovrano.
 ARMIDORO
 Non diedi al ciel le mie preghiere invano.
 
 SCENA III
 
 ARMIDORO, che ascende sul trono, e CLISTENE. Suonan le trombe
 
 ARMIDORO
 Lascia che al regio piè, Clistene invitto,
40baci d’ossequio imprimi.
 CLISTENE
                                                 Eroe che vince (Lo abbraccia)
 degno è di questi amplessi. Ormai ricevi
 il premio da una destra
 matura alle vittorie; e sul tuo capo,
 che sostener può solo
45il peso trionfal di tanti onori,
 verdeggino con fasto i regi allori. (Si leva la corona di alloro e lo corona. Suonano intanto le trombe)
 Ma qual patria superba
 va di un’alma sì grande? Io già nel volto
 leggo la nobiltà de’ tuoi natali.
 ARMIDORO
50Patria m’è Atene e son Demetrio, figlio
 al regnator Clearco.
 CLISTENE
 Principe amico, al sen ti stringo e al novo
 giorno conchiuderemo i tuoi sponsali.
 ARMIDORO
 Gioie non trovo al mio diletto eguali.
 CLISTENE
55T’assidi al lato mio.
 ARMIDORO
                                      Forza è ch’io parta.
 CLISTENE
 Vanne; la nova luce
 ti attenderà sposo e consorte al regno. (Si va oscurando la scena)
 ARMIDORO
 Se Agarista possiedo,
 di regnar non mi curo, altro non chiedo. (Scende dal trono)
 
60   Mi prepara amor contenti.
 A quel bel, che m’ha piagato,
 lauri miei, vi porterò;
 
    e sarò più fortunato,
 se que’ rai mirar potrò
65per me ridenti. (Si parte)
 
 CLISTENE
 Seguano i giuochi e al giorno,
 che moribondo cade,
 allunghino la vita accesi lumi. (S’illumina la scena. Segue il ballo di lottatori)
 Basti così; ti sento, (Clistene scende dal trono)
70per riveder la figlia, alma, in tormento.
 
    Ti rendo altra vita,
 mia figlia gradita,
 col dirti: «Sei sposa».
 
    Già mi par che ti brilli sul viso,
75con dolce sorriso,
 più vaga la rosa.
 
 SCENA IV
 
 Sala illuminata con istromenti matematici. Notte.
 
 ALCESTE contemplando un mappamondo
 
 ALCESTE
 
    Astri belli, deh mi girate
 raggi placidi per pietà.
 
    Se pietà voi mi negate,
80astri non siete
 ma ree comete
 di crudeltà.
 
 Stelle, che più volete? Eccovi Oronta,
 del tessalo monarca unica figlia,
85fuor del regno, raminga e dietro l’orme
 di Orgonte il mentitor che seco porta
 il miglior di me stessa, alma ed onore.
 Qui trovai l’infedel che, sazio e stanco
 de’ miei pudichi amplessi,
90di quella fé scordato
 che mi giurò cotante volte e tante,
 sotto altre spoglie è d’Agarista amante.
 Sin che un giorno ei si penta, io qui mi fingo
 degli astri osservatrice, arte già appresa
95fin da’ primi anni miei. Perfide stelle,
 che volete di più? Mi avete tolto
 di Oronta il nome e quasi il sesso e il volto.
 
    Tu sola, speranza,
 mi vai consolando.
 
100   Fra tante mie pene
 tu già in lontananza
 mi mostri un gran bene
 e mel farai goder ma non so quando.
 
 SCENA V
 
 BRENNO, ALCESTE e poi AGARISTA
 
 BRENNO
 A te viene Agarista.
 ALCESTE
105Che mai vorrà?
 BRENNO
                                Se astrologo foss’io,
 ben saperlo dovrei.
 ALCESTE
 Altro io non so che i crudi affanni miei.
 AGARISTA
 Alceste.
 ALCESTE
                  Principessa.
 AGARISTA
                                           E ben, qual fato
 mi predicon le stelle?
 ALCESTE
                                          Io già osservai
110gli astri fissi e gli erranti.
 Dell’oroscopo tuo, de’ tuoi natali
 vidi i segni e gli aspetti;
 e se pur non m’inganna il cielo e l’arte,
 per te volger mirai tutti i pianeti
115solo influssi in amor placidi e lieti.
 BRENNO
 (Oh che pensieri sciocchi!)
 In amor la fortuna
 dalle stelle non vien ma da quegli occhi.
 AGARISTA
 Male si accorda, Alceste,
120il tuo augurio al mio cor.
 ALCESTE
                                               Da que’ sospiri
 esce vampa d’amore. A che l’ascondi?
 AGARISTA
 Celo l’amor, perché l’oggetto è vile.
 ALCESTE
 (Forse di Orgonte parla).
 AGARISTA
 (Sol di  Armidoro intendo).
 ALCESTE
125A me ti fida.
 AGARISTA
                          Io voglio amar tacendo.
 
    Ardo amante di un sembiante,
 tutto brio, tutto beltà.
 
    Ma qual sia la fiamma mia,
 fuorché l’alma, altri nol sa.
 
 SCENA VI
 
 CLISTENE e i suddetti
 
 CLISTENE
130Figlia, su la tua fronte
 bacio di affetto e di allegrezza imprimo.
 AGARISTA
 Padre, e qual gioia?
 CLISTENE
                                       Il cielo
 oggi sposa ti fece.
 AGARISTA
                                   Oimè, che ascolto!
 BRENNO
 Fa la gran gioia impallidirle il volto.
 CLISTENE
135Se tra le angustie del reale albergo
 ti custodii finor geloso, ormai
 ti lascio in libertà.
 AGARISTA
                                    Rendi più angusta
 la mia prigion, purch’io
 teco men viva in pace;
140più che lo sposo, il genitor mi piace.
 BRENNO
 Folle semplicità!
 AGARISTA
                                 Troppo m’è grave,
 padre, il lasciarti. Io prima...
 CLISTENE
                                                       Ah non turbarmi
 col tuo vano cordoglio.
 AGARISTA
 (Se mio non è Armidoro, altri non voglio).
 BRENNO
145Non ti attristar. Le donne usan così;
 prima dicon di no, poi fan di sì.
 CLISTENE
 Sappi che tuo consorte
 fia Demetrio, di Atene eccelso prence,
 di forte lena e singolar bellezza.
 BRENNO
150Folle è ben se lo sprezza.
 AGARISTA
 Sia qual egli si vuol, l’odio e il rifiuto,
 se te...
 CLISTENE
               Pensa, Agarista,
 che il passaggio è più dolce ed amoroso
 dagli amplessi di padre a quei di sposo.
 
155   All’offerta di uno sposo,
 il tuo core alfin cadrà.
 
    Nel bel nome di marito,
 tu rifiuti ’l dolce invito
 di un piacer che ugual non ha.
 
 SCENA VII
 
 AGARISTA, ALCESTE e BRENNO
 
 AGARISTA
160Pietà, Alceste, se mai piagarti ’l petto
 di una pupilla i dardi.
 ALCESTE
 Ma da qual ciglio è uscito
 lo stral che ti ferì? Scopri l’oggetto.
 AGARISTA
 È troppo vile.
 ALCESTE
                            E puote
165esser men che tuo servo?
 AGARISTA
 Servo ma che comanda all’alma mia.
 BRENNO
 (Chi sa ch’ella non m’ami?)
 ALCESTE
 (Ama certo Sifalce; oh gelosia!)
 Di che arrossisci? Ergi nel cielo i lumi;
170vedrai lo stesso Giove
 arder per bassi oggetti.
 AGARISTA
 Se scopro il bel che adoro,
 fé mi giuri?
 ALCESTE
                         Ed aita.
 AGARISTA
                                          Amo Armidoro.
 BRENNO
 (Non ho colpito al segno).
 ALCESTE
175(Armidoro, il pittor!)
 AGARISTA
                                          Fu il suo pennello
 strale che mi ha ferita.
 ALCESTE
                                            (Il cor respira).
 Ei lo sa?
 AGARISTA
                   Tolga il cielo
 ch’ei sappia mai la mia viltate.
 ALCESTE
                                                          E forse
 anch’ei per te sospira.
 AGARISTA
                                           Ah, se sì audace
180mai lo credessi!
 ALCESTE
                                Il soffriresti in pace.
 Troppo è dolce al desio
 il vedersi adorar da chi s’adora.
 BRENNO
 Se l’ami tu, lascia ch’ei t’ami ancora.
 AGARISTA
 Inutili consigli, or che mi sforza
185agl’imenei vicini il genitore.
 ALCESTE
 Nascon da un solo istante
 non attesi accidenti.
 AGARISTA
                                        Amor m’aiti.
 Taci e tu, Brenno, quanto udisti.
 BRENNO
                                                             Posi
 su la mia fede l’amor tuo sicuro.
 AGARISTA
190Se mio non è Armidoro, altri non curo.
 
    Non vedo perché
 tu speri, cor mio,
 
    se amando e sperando,
 è vil la speranza,
195è colpa il desio.
 
 SCENA VIII
 
 ALCESTE e BRENNO
 
 ALCESTE
 Se sperar tu non vuoi, che far degg’io?
 BRENNO
 Che fai? Che pensi, Alceste?
 ALCESTE
 Quanto son le mie piaghe
 delle tue più profonde!
 BRENNO
200(Oppresso è dal dolor; non mi risponde).
 ALCESTE
 Han vicino il sollevo i tuoi tormenti;
 lo disperano i miei.
 BRENNO
 Consolarti vogl’io.
 ALCESTE
                                    Qui sei?
 BRENNO
                                                      Pur senti.
 Se ti duol che Agarista
205ad altro oggetto abbia il pensier rivolto,
 non è per te la sorte; il posto è tolto. (Si parte)
 ALCESTE
 
    Talor dico al crudo fato:
 «Dunque ognor mi dolerò?»
 
    Allor sento il nume alato
210che risponde: «Io solo il so».
 
 SCENA IX
 
 Atrio regio.
 
 ARBANTE
 
 ARBANTE
 A’ primi rai della nascente aurora,
 qui ’l mio prence m’impose
 che lo attendessi e pur nol veggio; ah quali,
 per l’agitata mente,
215raggiri ei volge? E quanto tien lontano
 dal genitor, dal regno amor possente?
 In un cor giovanile
 tanto ha di forza una beltà gentile.
 
    Con l’ardor della sua face
220strugge e piace
 di Ciprigna il cieco figlio;
 né so dir se sia diletto.
 
    So che un labbro e so che un ciglio
 fa languire il core in petto.
 
 SCENA X
 
 SIFALCE e ARBANTE
 
 SIFALCE
225Fido Arbante.
 ARBANTE
                             Mio prence.
 SIFALCE
 Scordati ’l regio nome.
 ARBANTE
                                            Alcun non m’ode.
 Lascia ch’escan per poco
 in libertà le voci e che ti spieghi
 i solleciti voti
230del genitor cadente e del tuo impero.
 Tu de’ popoli traci...
 SIFALCE
 Inutile è il consiglio. Ascolta e taci.
 ARBANTE
 Attendo i cenni.
 SIFALCE
                                O violenza o frode
 in questo dì al possesso
235mi dee por di Agarista. Alla tua fede
 commetto il gran disegno.
 ARBANTE
 L’opra è di grave rischio.
 SIFALCE
                                                Usa il tuo ingegno.
 ARBANTE
 Il desio di servirti
 artifizi mi detta.
240Venner già dalla Tracia
 gli aspettati guerrieri. Io di quel regno
 finger con essi ambasciator mi voglio
 ed introdurmi in corte.
 SIFALCE
 E poi?
 ARBANTE
                Forse la sorte
245o di occupar la reggia
 o di rapir la figlia
 ci aprirà qualche varco.
 SIFALCE
 Appoggio al senno tuo sì grave incarco. (Arbante si parte)
 
    Amor, se mi togli
250l’amata beltà,
 
    morir mi conviene,
 che senza il suo bene
 star l’alma non sa.
 
 SCENA XI
 
 ALCESTE e SIFALCE
 
 ALCESTE
 Addio, Sifalce.
 SIFALCE
                              Alceste,
255grave pensier mi opprime i sensi.
 ALCESTE
                                                                Io leggo
 nel tuo volto il tuo cor.
 SIFALCE
                                           L’arte t’inganna.
 ALCESTE
 Vuoi tu che i dubbi eventi
 della tua vita io scopra?
 SIFALCE
 Curioso ti attendo.
 ALCESTE
                                     Eccomi all’opra.
260Dammi la destra.
 SIFALCE
                                   Ecco la destra.
 ALCESTE
                                                               (O cara!)
 SIFALCE
 Le linee osserva.
 ALCESTE
                                 (O mia
 dolcissima omicida!)
 SIFALCE
 Teco stesso che parli?
 ALCESTE
 (Ti bacierei, se tu non fossi infida).
 SIFALCE
265O ti affretta o ti lascio.
 ALCESTE
 Di una linea ho stupor che qui si stende.
 SIFALCE
 Perché?
 ALCESTE
                  Ravviso in essa
 che sei principe eccelso.
 SIFALCE
 (È ver). Segui.
 ALCESTE
                              Ma sei...
 SIFALCE
270Che?
 ALCESTE
             Infedele in amore.
 SIFALCE
                                                 (Oh dio! Che ascolto?)
 ALCESTE
 (Al traditore impallidisce il volto).
 Beltà real tu già ingannasti.
 SIFALCE
                                                     (È vero).
 ALCESTE
 Altra ingannarne or tenti.
 SIFALCE
 A costui tutto è noto il mio pensiero.
275De’ miei novelli affetti
 qual sarà il fin?
 ALCESTE
                                Da queste linee chiaro
 intendere il futuro a me non lice.
 (Destra, fin che ti stringo, io son felice).
 SIFALCE
 Altro hai che dirmi?
 ALCESTE
                                        Ascolta. Arte già appresi
280da gran tessalo mago,
 con cui gli spirti averni
 sforzo a dirmi ’l futuro; a me, se vuoi,
 che svelino farò gli eventi tuoi.
 SIFALCE
 
    Fammi saper se stringere
285potrò quel che desio,
 
    se quel labbro che più adoro
 verrà a dirmi: «O mio tesoro,
 se tua sono, e tu sei mio». (Si parte)
 
 ALCESTE
 O Sifalce, Sifalce, ah tal non sei;
290se Sifalce tu fossi,
 Alceste io non sarei. Partì l’infido
 ed io misera Oronta invan lo sgrido.
 
 SCENA XII
 
 ARMIDORO ed ALCESTE
 
 ARMIDORO
 Ho vinto, Alceste, o caro
 de’ miei pudichi amori
295secretario fedel.
 ALCESTE
                                Come? Tu cinto
 hai l’olimpico alloro?
 ARMIDORO
                                         Alceste, ho vinto.
 ALCESTE
 Sento i contenti tuoi. Ma, tu Demetrio?
 Tu principe?
 ARMIDORO
                           Tal sono. Or di Agarista
 sarò felice possessor.
 ALCESTE
                                         Ne godo.
300Ma a che riprendi i vili arnesi e torni
 pittor qual fosti?
 ARMIDORO
                                  Io, pria che a lei sia sposo,
 vo’ tentarne l’affetto.
 Altro il mio cor non brama.
 ALCESTE
 Felice sei; ti corrisponde e t’ama.
 ARMIDORO
305Deggio fede prestarti?
 ALCESTE
                                            Ella mel disse
 né ingannarti oserei.
 ARMIDORO
                                         Deh, caro Alceste,
 va’ e dille ch’io per lei piango e sospiro;
 sol le ascondi i miei casi e il grado mio.
 ALCESTE
 Esequirò i tuoi cenni.
 ARMIDORO
                                          Amico, addio.
 
310   Non più amor, non più contenti,
 per capir tanto diletto,
 
    fammi un altro core in petto
 o il tuo dammi o il mio s’aumenti.
 
 SCENA XIII
 
 ALCESTE
 
 ALCESTE
 Vanne, Armidoro, vanne
315felice amante; io non invidio i tuoi
 meritati contenti;
 ma ben forza è ch’io pianga
 l’ostinata empietà de’ miei tormenti.
 
    Piango sempre, ognor sto in pene.
320Ma i miei pianti, i miei lamenti
 
    voi portate, o sordi venti,
 voi bevete, asciutte arene.
 
 SCENA XIV
 
 Appartamenti di Agarista, tavolino e spinetta.
 
 AGARISTA assisa e BRENNO con lo specchio
 
 BRENNO
 Signora, or che sei sposa,
 più ti adorna con l’arte; ed ecco appunto
325l’adulator cristallo. (Le dà lo specchio)
 AGARISTA
 Consiglier del mio volto,
 a chi vuoi ch’oggi infiori e che corregga
 questo crin, questo petto?
 A chi vuoi che coltivi
330questa torbida fronte?
 Queste pallide guance? A che far pompa
 d’una beltà infelice,
 se goder di chi voglio a me non lice?
 BRENNO
 Ben puoi senza tormento
335sposarne un solo e vagheggiarne cento. (Si parte)
 AGARISTA
 
    Se non piaccio a chi mi piace,
 che mi giova il farmi vaga?
 
    Mia beltà che sì ti gonfi,
 o rinuncia a’ tuoi trionfi
340o ferisci chi m’impiaga.
 
 SCENA XV
 
 CLISTENE, SIFALCE ed AGARISTA
 
 CLISTENE
 Mia figlia, a qual cordoglio
 dai te stessa in balia?
 AGARISTA
 Padre, morir pria che lasciarti io voglio.
 CLISTENE
 Rasserena l’aspetto. Ecco Sifalce,
345l’Anfion della Grecia; il suo bel canto
 ti accheti ’l duolo e ti rasciughi ’l pianto.
 AGARISTA
 Son di gioia incapace.
 CLISTENE
                                           In dì sì lieto
 lo sposo acquisti e il genitor non perdi.
 Sarai figlia e consorte.
 AGARISTA
350(Sarò figlia al dolor, sposa alla morte).
 
 SCENA XVI
 
 SIFALCE ed AGARISTA
 
 SIFALCE
 Ben felice sarei, se tale avessi
 virtù da sollevar l’aspre tue pene,
 bellissima Agarista,
 ma dar gioie non può chi non ne tiene.
 AGARISTA
355Or via, snoda la lingua a’ dolci accenti.
 SIFALCE
 Eccomi pronto. (Sifalce siede alla spinetta)
 AGARISTA
                                Io qui m’assido. (Si asside dirimpetto a Sifalce)
 SIFALCE
                                                                Or senti. (Accompagna il canto col suono)
 
    Felice chi amore
 al cor mai non prova...
 
 AGARISTA
 Non più.
 SIFALCE
                    Che? Non ti piace?
 AGARISTA
                                                         Altra ne trova.
 SIFALCE
 
360   La speranza è un falso bene...
 
 AGARISTA
 Taci, che il mio dolor nasce da spene.
 Di Achille in servil manto
 travestito già in Sciro a me i lamenti...
 SIFALCE
 T’intesi. (E già mi accingo
365a dir con l’altrui pianto i miei tormenti).
 «Tra vili spoglie involto
 stava per Deidamia quel forte Achille,
 ch’esser dovea della troiana gente
 l’esterminio più fiero,
370e col nodoso braccio
 ora tigri, or leoni a vincer uso,
 la conocchia trattava e torcea il fuso.
 Quando celar più non potendo un giorno
 l’amoroso ardor suo, mesto s’affisse
375nel vago volto e sospirando disse...»
 AGARISTA
 Questa è di genio mio.
 SIFALCE
                                            (Fors’ella gode
 che le scopra così gli affetti miei).
 AGARISTA
 (Che tal fosse Armidoro anch’io vorrei).
 SIFALCE
 
    «Deh non mi avere a sdegno,
380se te, Deidamia, adoro»;
 
    sotto vil manto indegno
 talor grand’alma stassi.
 Così tra glebe e sassi
 si asconde aureo tesoro.
 
385   Deh non mi avere a sdegno,
 se te, Agarista, adoro.
 
 AGARISTA
 Che dicesti?
 SIFALCE
                          Condona.
 La lingua mia, già del suo fallo avvista,
 dir volea Deidamia, non Agarista.
 
390   «Tu vedi in rozzi panni (Sifalce alla spinetta)
 Achille che ti adora».
 
    Per te sì crudi affanni,
 mio ben, finor provai
 che, se pietà non m’hai,
395forza sarà ch’io mora.
 
    Tu vedi in rozzi panni
 Orgonte che ti adora.
 
 AGARISTA
 Spesso in errori inciampi.
 La canzon dice Achille e non Orgonte.
 SIFALCE
400Mi ha confuso il chiaror della tua fronte.
 AGARISTA
 Sorgi e tu pure ascolta
 la risposta gentil di Deidamia. (Agarista va alla spinetta)
 SIFALCE
 Curioso ti attendo.
 AGARISTA
 (Parlar così teco, Armidoro, intendo).
 
405   Non so che di augusto e grande
 ben vedea nel tuo sembiante.
 
    Troppo muto arse il tuo core;
 se svelavi il chiuso ardore,
 prima ancor ti accogliea sposo ed amante.
 
 SIFALCE
410Ben t’intesi, alma mia.
 AGARISTA
 Tu vaneggi, Sifalce. Al vago Achille
 rispondeva così già Deidamia.
 SIFALCE
 E ben di Achille anch’io,
 come già comandasti,
415le parti sostenea.
 AGARISTA
                                  Ma troppo osasti.
 Vanne.
 SIFALCE
                 (O sciocchi deliri!
 Ingannaste sol voi gli affetti miei).
 AGARISTA
 (Ma così ad Armidoro io non direi).
 
 SCENA XVII
 
 ALCESTE ed AGARISTA
 
 ALCESTE
 A te di fausti avvisi
420nunzio m’inchino. Il tuo Armidor poc’anzi:
 «Caro Alceste» mi disse
 «ardo per Agarista e sì l’adoro
 che se tu non m’aiti, Alceste, io moro».
 AGARISTA
 Tant’osò, tanto disse?
 ALCESTE
                                          E il disse appena
425che in deliquio di amor mi svenne in braccio.
 AGARISTA
 E il lasciasti così? Temo ed agghiaccio.
 ALCESTE
 Così stette gran tempo; infine al volto
 mi alzò l’egre pupille,
 in atto sì dolente
430che avria mosse a pietà le belve istesse.
 AGARISTA
 Non più, che svengo anch’io.
 ALCESTE
 Ed immoto pendea dal labbro mio.
 AGARISTA
 Che gli dicesti?
 ALCESTE
                               Io tosto
 lo sgridai che tropp’alto alzasse il volo.
 AGARISTA
435Che rispose?
 ALCESTE
                           «Chi mai
 può veder senz’amor volto sì vago?»
 AGARISTA
 E tu?
 ALCESTE
              «Viltà e timor dovean frenarti».
 AGARISTA
 Ed ei?
 ALCESTE
                «Cara beltà, voglio adorarti».
 AGARISTA
 Alfin?
 ALCESTE
               Mi disse: «Se mi neghi aita,
440sei scortese e crudel. Forse non sono
 così vil qual ti sembro»; e poi partissi.
 AGARISTA
 Altro non ti soggiunse?
 ALCESTE
                                             Il tutto io dissi.
 AGARISTA
 S’ei fosse qual vorrei,
 fortunata sarei.
 ALCESTE
                               Chi sa? Sovente
445fa stravaganze amore.
 AGARISTA
 Ciò ch’è oggetto al desio tema è del core.
 
    O va’, spietato amore,
 o lasciami sperar.
 
    Tu che dai piaghe al core,
450tu le dovrai sanar.
 
 ALCESTE
 
    Amor, delle tue pene
 non mi saprò lagnar,
 
    purché si cangi in bene
 la gloria del penar.
 
 Il fine dell’atto primo